PAX CSPBCSSMLNDSMDVRSNSMVSMQLIVB [MENE MENE TECHEL e PARSIN] ( Ave Maria serva madre e sorella nostra Ave Maria Santa madre nostra Ave )
https://voxnews.info/2019/11/21/sardine-eversive-minacciano-azioni-violente-per-fermare-salvini/
Sardine eversive minacciano azioni violente contro Salvini
PA
School Operates Illegally in Israeli Territory
https://unitedwithisrael.org/pa-school-operating-illegally-in-israeli-territory/#.Xda1YkfBlwc.twitter
UNAR UE: law 2048 of 2015 (assembly coe int)
in Bari in November 2014
in
the project "generate non-violent cultures" an animated fairy tale is
represented in nurseries and elementary schools: "in the role of Zaff"
which is the story of a transgender child.
but if adolescence does not come, how does one know that one is transgender?
not even Stalin and Hitler had come to this point: to manipulate and corrupt such small children!
UNAR UE: legge 2048 del 2015 (assembly coe int)
a Bari nel novembre 2014
nel
progetto "generare culture non violente" viene rappresentata, negli
asili nido e scuole elementari una fiaba animata: "nei panni di Zaff"
che è la storia di un bambino trasgender.
ma se non arriva la adolescenza come uno fa a sapere di essere trasgender?
neanche Stalin e Hitler erano giunti a tanto: manipolare e corrompere i bambini così piccoli!
http://assembly.coe.int
Del resto, chi manifesta per impedire agli altri di manifestare è violento in sé. Sono sempre gli stessi:
Il partito degli immigrati si schiera con le sardine: “Facciamo fuori Salvini”
https://voxnews.info/2019/11/21/sardine-eversive-minacciano-azioni-violente-per-fermare-salvini/
Il partito degli immigrati si schiera con le sardine: “Facciamo fuori Salvini”
Tanti esponenti delle cosiddette ‘sardine’ hanno pubblicamente
affermato di avere l’obiettivo di ‘fare fuori Salvini’. Ora, a questo
movimento si accoda anche il ‘partito degli immigrati’. C’è un filo
rosso che lega i gruppi delle cosiddette ‘sardine’ – mai animale fu
scelto meglio a rappresentare una moltitudine di automi – nelle varie
città d’Italia: sono … Leggi tutto
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versoercole.wordpress.com
Luigi Brugnaro e la Grande Massoneria Transgender – Seconda puntata
https://versoercole.wordpress.com/2015/07/03/luigi-brugnaro-e-la-grande-massoneria-transgender-seconda-puntata/
La strenua lotta del neosindaco di Venezia contro l’ideologia del gender si arricchisce di nuovi, spettacolari dettagli.
Vediamo cosa è accaduto dall’inizio della vicenda (che potete leggere qua) fino ad oggi, con l’incontro pubbico con Camilla Seibezzi – incontro al quale, ma guarda un po’, il sindaco non si è
presentato.
Immagine di http://www.vogliosposaretizianoferro.it
Innanzitutto, dopo aver dato una ripassata alle deliranti affermazioni
di Brugnaro a VeneziaToday (deliranti dal punto di vista sintattico
perfino più che di quello ideologico), vediamola, questa circolare con
cui il sindaco ha invitato al ritiro dei libri prima ancora di pensare a
formare la giunta.
Dal profilo Facebook di Chiara Lalli.
Sì, avete letto bene: I LIBRI “GENDER”, GENITORE 1 E GENITORE 2.
Sapete cos’è questo?
Parole in libertà o Paroliberismo è uno stile letterario introdotto dal Futurismo
in cui le parole che compongono il testo non hanno alcun legame
sintattico-grammaticale fra loro e non sono organizzate in frasi e
periodi. [Fonte: Wikipedia]
Sono un po’ stanco di ripeterlo, ma siccome qualcuno è duro di comprendonio, giova un ripasso:
La
teoria/ideologia gender non esiste. È una leggenda metropolitana, è una
teoria complottista. C’è gente che l’ha spiegato meglio di me, ad
esempio qui o qui.
Non
sono mai esistiti nessun genitore 1 e genitore 2. La fatidica
disposizione di Camilla Seibezzi era di sostituire sui moduli di
iscrizione alle scuole dell’infanzia le parole “mamma” e “papà” con
“genitore”, esattamente come i moduli di iscrizione alle medie e alle
superiori (per i quali non protesta nessuno). L’1 e il 2 sono
un’invenzione dei giornalisti (o giornalai).
Ad ogni modo, non ci
sono «libri “gender”, genitore 1 e genitore 2». È una definizione che
non si può applicare ad alcun testo, men che meno presente negli asili
veneziani (e le conseguenze di ciò le vediamo dopo).
Ma veniamo dunque a questi temibili testi. A questo punto vi sarà venuta la curiosità di sapere i titoli. Eccoli: Dal profilo Facebook di Camilla Seibezzi.
Paura, eh?
Vi invito a cercare titoli e autori su Google per sapere di cosa parlano, nel dettaglio, questi testi.
Vi anticipo che i libri che osano informare i bambini dell’esistenza
delle famiglie omogenitoriali sono Piccolo uovo ed E con Tango siamo in
tre.
Gli altri toccano i temi più vari, dalle diverse forme
familiari (bambini adottati, genitori separati ecc.), all’approccio alla
diversità (discriminazioni razziali/culturali, stereotipi di genere,
disabilità), e alcuni non lo fanno neanche esplicitamente.
Cito un paio di titoli come esempio.
In Piccolo blu e piccolo giallo, i protagonisti sono delle semplici
macchie di colore. Sono due “bambini” di colore diverso che, a furia di
giocare insieme, diventano verdi e quando tornano nelle rispettive
famiglie non vengono più riconosciuti dai genitori. Leggetela tutta qua.
In Buongiorno postino, un portapacchi distratto consegna figli a vari
animali, ma a una coppia di pinguini (un maschio e una femmina, eh)
consegna un uovo che, schiudendosi, rivela una piccola coccodrillina.
Come la prendono? Dicono «Oh, si è sbagliato di nuovo!» e chiamando gli
altri figli a conoscere la nuova sorellina scopriamo che il resto della
prole è formata da una tartaruga, un uccello e altri animali consegnati
“male”.
Poi c’è I cani non sono ballerine, che parla proprio di un
cane che vuole fare la ballerina; Diverso come uguale, che presenta
bimbi down, autistici, neri, ciechi, adottati, musulmani; I papà bis,
sul difficile rapporto fra dei bambini e il nuovo compagno della madre…
Potrei andare avanti ancora, ma vi invitato nuovamente a cercaveli su Google e approfondire. Non c’è niente da nascondere.
Nel frattempo, la figura barbina esce fuori dai confini nazionali:
Sì: è davvero un articolo del Telegraph
– e nemmeno troppo preciso, visto che anche loro parlano di «Gay
parenting books», che è una definizione che si può applicare, come
abbiamo visto, a una manciata di testi soltanto; ma d’altronde And Tango
Makes Three è troppo noto, all’estero, per non surclassare in fama gli
altri titoli.
Veniamo dunque all’atto finale (nel senso che è
accaduto stamattina e più aggiornati di così non si può) di questa
surreale pantomima veneziana.
Camilla Seibezzi aveva indetto per
questa mattina un incontro a Venezia, aperto al pubblico, per parlare
di questi libri e della censura in atto fin dal primo momento in cui
vennero proposti, e lasciando la possibilità al pubblico di poter
liberamente consultare i testi in questione.
L’invitato d’eccezione era ovviamente il nostro caro sindaco. E secondo voi Brugnaro si è presentato? Ovviamente no.
Be’, ma avrà almeno rilasciato un comunicato stampa precompilato con il
consueto «non posso essere presente per altri impegni inderogabili
blablabla»? Ovviamente no.
Ma accidenti, avrà almeno detto qualcosa su Twitter? Purtroppo sì, ieri: https://twitter.com/LuigiBrugnaro/status/616613949891592192
I libri gender.
I LIBRI GENDER.
Ecco, io direi di chiudere qui. Perché? Mi pare ovvio: non posso dire quello che penso davvero.
Perché quello che penso davvero implica la totale chiusura a qualsiasi dialogo con il sindaco.
Perché le basi di qualsiasi dialogo sono che si parli la stessa lingua,
che si dia lo stesso valore alle parole e soprattutto che non le si
inventino. E qui Brugnaro sta inventandosi di sana pianta qualcosa che
non esiste.
I “libri gender” sono unicorni, cani a tre teste,
ciclopi. A uno che vi chiede di ritirare dalle scuole degli unicorni,
accusandovi di “arroganza culturale” se gli chiedete spiegazioni, cosa
mai potete rispondergli?
Il lato positivo di questa specie di
analfabetismo che affligge il neosindaco è che la surreale circolare in
apertura post, riferendosi a cose inesistenti, può essere impugnata da
legali per valutarne la (inesistente, direi) validità.
Ciò detto, vi rimando alla prossima esilarante puntata di Brugnaro contro il gIender.
Perché tanto ci sarà, una prossima puntata. Figuratevi se uno che all’assessorato ai Trasporti ci mette Boraso, che protestava contro il tram con il trattore,
non ha in serbo per noi qualche altra sorpresa…
https://versoercole.wordpress.com/2015/07/03/luigi-brugnaro-e-la-grande-massoneria-transgender-seconda-puntata/
P.S.: E infatti eccolo su Twitter.
========================
https://www.wired.it/attualita/politica/2015/03/13/teoria-del-gender/
wired.it
Cosa (non) è la teoria del gender - Wired
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16-22 minuti
No, l'ideologia del gender non esiste davvero. È una trovata propagandistica che distorce gli studi di genere
Si
salvi chi può da coloro che, per combattere le discriminazioni basate
sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, vogliono
colonizzare le menti di bambini e bambine con una visione antropologica
distorta, con un’azione di indottrinamento gender. Il monito l’ha
lanciato, a più riprese, il mondo cattolico.
Lo ha fatto, per esempio, il cardinale Angelo Bagnasco
in apertura del Consiglio della Conferenza episcopale italiana. Il
Forum delle associazioni familiari dell’Umbria ha stilato addirittura un
vademecum
per difendersi dalla pericolosa introduzione nelle scuole italiane di
percorsi formativi e di sensibilizzazione sul gender. Che si parli di
educazione all’effettività, educazione sessuale, omofobia, superamento
degli stereotipi, relazione tra i generi o cose simili, tutto secondo
loro concorre a un unico scopo: l’indottrinamento. E anche l’estrema
destra a Milano (ma non solo) ha lanciato la sua campagna “contro
l’aggressione omosessualista nelle scuole milanesi” per frenare
eventuali seminari “diseducativi”.
La diffusione dell’ideologia
gender nelle scuole, secondo ProVita onlus, l’Associazione italiana
genitori, l’Associazione genitori delle scuole cattoliche, Giuristi per
la vita e Movimento per la Vita, è una vera emergenza educativa.
Perché in sostanza, dietro al mito della lotta alla discriminazione, in
realtà spesso si nasconde “l’equiparazione di ogni forma di unione e di
famiglia e la normalizzazione di quasi ogni comportamento sessuale”.
Tanto che, nello spot che ProVita ha realizzato per promuovere la
petizione contro l’educazione al genere, una voce fuori campo chiede “Vuoi questo per i tuoi figli?”. Ma cos’è la teoria/ideologia gender?
La teoria del gender
Non esiste.
Nessuno, in ambito accademico, parla di teoria del gender. È infatti
un’espressione usata dai cattolici (più conservatori) e dalla destra più
reazionaria per gridare “a lupo a lupo” e creare consenso intorno a posizioni sessiste e omofobe.
Significativa,
per esempio, la posizione di monsignor Tony Anatrella che, nel libro La
teoria del gender e l’origine dell’omosessualità, ci mette in guarda da
questa fantomatica teoria, tanto pericolosa quanto oppressiva (più del
marxismo), che si presenta sotto le mentite spoglie di un discorso di
liberazione e di uguaglianza e vuole inculcarci l’idea che, prima
d’essere uomini o donne, siamo tutti esseri umani e che la mascolinità e
la femminilità non sono che costruzioni sociali, dipendenti dal
contesto storico e culturale. Un’ideologia (udite, udite) che pretende
che i mestieri non abbiano sesso e che l’amore non dipenda
dall’attrazione tra uomini e donne. Talmente perniciosa, da essersi
ormai insediata all’Onu, all’Unesco, all’Oms, in Parlamento europeo.
“Ma
non ha alcun senso parlare di teoria del gender e men che mendo di
ideologia del gender”, sostiene Laura Scarmoncin, che studia Storia
delle donne e di genere alla South Florida University. “È un’arma
retorica per strumentalizzare i gender studies che, nati a cavallo tra
gli anni 70/80, affondano le loro radici nella cultura femminista che ha
portato il sapere creato dai movimenti sociali all’interno
dell’accademia. Così sono nati (nel mondo anglosassone) i dipartimenti
dedicati agli studi di genere” e poi ai gay, lesbian e queer studies.
In sostanza, come spiega Sara Garbagnoli sulla rivista AG About Gender,
la teoria del gender è un’invenzione polemica, un’espressione coniata
sul finire degli anni ’90 e i primi 2000 in alcuni testi redatti sotto
l’egida del Pontificio consiglio per la famiglia con l’intento di
etichettare, deformare e delegittimare quanto prodotto in questo campo
di studi. Poi ha avuto una diffusione virale quando, in particolare
negli ultimi due-tre anni, è entrata negli slogan di migliaia di
manifestanti, soprattutto in Francia e in Italia, contrari all’adozione
di riforme auspicate per ridurre le discriminazioni subite dalle persone
non eterosessuali.
“È un blob di slogan e di pregiudizi
sessisti e omofobi”. Un’etichetta fabbricata per distorcere qualunque
intervento, teorico, giuridico, politico o culturale, che voglia
scardinare l’ordine sessuale fondato sul dualismo maschio/femmina (e
tutto ciò che ne consegue, come subordinazione, discriminazione,
disparità, ecc.) e sull’ineluttabile complementarietà tra i sessi.
Secondo
gli ideatori dell’espressione teoria/ideologia del genere, nasciamo
maschi o femmine. Punto. Il sesso biologico è l’unica cosa che conta. L’identità sessuale non si crea, ma si riceve. E il genere è una fumisteria accademica, come scrive Francesco Bilotta, tra i soci fondatori di Avvocatura per i diritti Lgbti – Rete Lenford.
In
realtà gli studi di genere costituiscono un campo di indagine
interdisciplinare che si interroga sul genere e sul modo in cui la
società, nel tempo e a latitudini diverse, ha interpretato e alimentato
le differenze tra il maschile e il femminile, legittimando non solo
disparità tra uomini e donne, ma anche negando il diritto di
cittadinanza ai non eterosessuali.
L’identità sessuale
Gli
studi di genere non negano l’esistenza di un sesso biologico assegnato
alla nascita, né che in quanto tale influenzi gran parte della nostra
vita. Sottolineano però che il sesso da solo non basta a definire quello
che siamo. La nostra identità, infatti, è una realtà complessa e
dinamica, una sorta di mosaico composto dalle categorie di sesso, genere, orientamento sessuale e ruolo di genere.
Il
sesso è determinato biologicamente: appena nati, cioè, siamo
categorizzati in femmine o maschi in base ai genitali (a volte, però,
genitali ambigui rendono difficile collocare il neonato o la neonata
nella categoria maschio o femmina, si parla allora di intersessualità).
Il
genere invece è un costrutto socioculturale: in altre parole sono
fattori non biologici a modellare il nostro sviluppo come uomini e donne
e a incasellarci in determinati ruoli (di genere) ritenuti consoni
all’essere femminile e maschile. La categoria di genere ci impone, cioè,
sulla base dell’anatomia macroscopica sessuale (pene/vagina) e a
seconda dell’epoca e della cultura in cui viviamo, delle regole cui
sottostare: atteggiamenti, comportamenti, ruoli sociali appropriati
all’uno o all’altro sesso.
Il genere, in sostanza, si
acquisisce, non è innato, ha a che fare con le differenze socialmente
costruite fra i due sessi. Non a caso nel tempo variano i modelli
socioculturali, e di conseguenza le cornici di riferimento entro cui
incasellare la propria femminilità o mascolinità.
L’identità di
genere riguarda il sentirsi uomo o donna. E non sempre coincide con
quella biologica: ci si può, per esempio, sentire uomo in un corpo da
donna, o viceversa (si parla in questo caso di disforia di genere).
Altra
cosa ancora è l’orientamento sessuale: l’attrazione cioè, affettiva e
sessuale, che possiamo provare verso gli altri (dell’altro sesso, del
nostro stesso sesso o di entrambi).
Educare al genere
“Nelle nostre scuole – sottolinea Nicla Vassallo, ordinario di
filosofia teoretica all’Università di Genova – a differenza di quanto si
è fatto in altri Paesi, non c’è mai stata una vera e propria educazione
sessuale e anche per questo l’Italia è arretrata rispetto alla
considerazione delle categorie di sesso e genere. Eppure, educare i
genitori e dare informazioni corrette agli insegnanti affinché parlino
in modo ragionato, e non dogmatico, di sesso, orientamento sessuale,
identità e ruoli di genere, a figli e scolari è molto importante perché
sono concetti determinanti per comprendere meglio la nostra identità
personale. E per essere cittadini occorre sapere chi si è”.
Educare al genere (come si legge nel bel saggio Educare al genere)
significa, in fondo, sostenere la crescita psicologica, fisica,
sessuale e relazionale, affinché i bambini e le bambine di oggi possano
progettare il proprio futuro al di là delle aspettative sulla
mascolinità e la femminilità.
Basti pensare, come scrivono le
curatrici nell’introduzione, all’appellativo effeminato che viene usato
per descrivere quegli uomini che non si comportano da “veri maschi”
(coraggiosi, determinati , tutti di un pezzo, che non devono chiedere
mai) e danno libero sfogo alle emozioni tradendo lo stereotipo
dominante. E la scuola può (deve) avere un ruolo fondamentale per
scalfire gli stereotipi di genere, ancora fin troppo radicati nella nostra società, offrendo a studenti e studentesse gli strumenti utili e necessari per diventare gli uomini e le donne che desiderano.
Educare
al genere significa dunque interrogarsi sul modo in cui le varie
culture hanno costruito il ruolo sociale della donna e dell’uomo a
partire dalle caratteristiche biologiche (genitali). Contrastare quegli
stereotipi e quei luoghi comuni, socialmente condivisi, che finiscono
col determinare opportunità e destini diversi a seconda del colore del
fiocco (rosa o azzurro) che annuncia al mondo la nostra nascita.
Concedere
diritto di cittadinanza ai diversi modi di essere donna e uomini. E
significa anche riflettere “sul fatto che le attuali dicotomie di sesso
(maschio/femmina) e di genere (uomo/donna) non sono in grado, di fatto,
di descrivere la complessità della realtà” sottolinea Vassallo. E dietro
questa consapevolezza non ci sono le famigerate lobby Lgbt, ma decenni
di studi interdisciplinari.
A scuola per scalfire stereotipi e pregiudizi
Trasmettere ai bambini e alle bambine, attraverso alcune attività ludico-didattiche, il valore delle pari opportunità
e abbattere tutti quegli stereotipi che, fin dalla più tenera età,
imprigionano maschi e femmine in ruoli predefiniti, granitici, e sono
alla base di molte discriminazioni, è l’obiettivo del progetto Il gioco del rispetto.
Dopo
la fase pilota dello scorso anno, sta per partire in alcune scuole
dell’infanzia del Friuli Venezia Giulia. Accompagnato però da non poche
polemiche alimentate, ancora una volta, da chi vuole tenere lontano
dalle scuole l’educazione al genere. Come se possa esserci qualcosa di
pericoloso nell’illustrare (lo fa uno dei giochi del kit didattico) un
papà alle prese con il ferro da stiro e una mamma pilota d’aereo. Alcuni
l’hanno definito “una pubblica vergogna”, un tentativo di “costruire un
mondo al contrario“, l’ennesima propaganda gender,
“lesivo della dignità dei bambini” e inopportuno, perché non avrebbe
senso sensibilizzare i bambini contro la violenza sulle donne, “come se un bambino di 4 o 5 anni potesse essere un mostro, picchiatore o stupratore“.
Eppure,
poter riflettere sugli stereotipi sessuali, combattere i pregiudizi,
sviluppare consapevolezza dei condizionamenti storico-culturali che
riceviamo, serve anche a prevenire comportamenti violenti e porre le basi per una società più civile.
Le esperienze italiane
Lungo lo Stivale sono diversi i progetti che si prefiggono di abbattere
pregiudizi e stereotipi in classe. Per esempio, l’associazione Scosse
ha promosso l’anno scorso a Roma La scuola fa differenza,
per colmare, attraverso percorsi formativi rivolti a educatori e
insegnanti dei nidi e delle scuole dell’infanzia, le carenze del nostro
sistema scolastico in merito alla costruzione delle identità di genere,
all’uso di un linguaggio non sessista e al contrasto alle
discriminazioni. Da diversi anni lo fa anche la Provincia di Siena nelle scuole di ogni ordine e grado.
Così
come “da un po’ di anni ”, spiega Davide Zotti, responsabile nazionale
scuola Arcigay, “attività di prevenzione dell’omofobia e del bullismo omofobico sono organizzate nelle scuole italiane da Arcigay, Agedo e altre associazioni, attraverso percorsi di educazione al rispetto delle persone omosessuali”.
In
Toscana, per esempio, la Rete Lenford ha coordinato una rete di
associazioni impegnate in percorsi didattici contro le violenze di
genere e il bullismo omotransfobico, per una scuola inclusiva.
E a Roma l’Assessorato alla scuola, infanzia, giovani e pari
opportunità ha promosso, in collaborazione con la Sapienza, il progetto lecosecambiano@roma,
rivolto alle studentesse e agli studenti degli istituti superiori della
Capitale. Apripista, però, è stato il Friuli Venezia Giulia, dove da
cinque anni Arcigay e Arcilesbica portano avanti il progetto A scuola per conoscerci,
che nel 2010 ha ricevuto l’apprezzamento da parte del Capo dello Stato,
per il coinvolgimento degli studenti nella formazione civile contro
ogni forma di intolleranza e di discriminazione.
Inoltre, il
ministero per le Pari opportunità e l’Unar (Ufficio nazionale
antidiscriminazioni razziali a difesa delle differenze) hanno elaborato
una strategia nazionale
per la prevenzione, rispondendo a una raccomandazione del Consiglio
d’Europa di porre rimedio alle diffuse discriminazioni legate
all’orientamento sessuale e all’identità di genere (nelle scuole, nel
mondo del lavoro, nelle carceri e nei media). In quest’ambito,
l’Istituto Beck ha realizzato degli opuscoli informativi per fornire ai
docente strumenti utili per educare alla diversità,
facendo riferimento alle posizioni della comunità scientifica nazionale
e internazionale sui temi dell’orientamento sessuale e del bullismo
omofobico. E sono stati organizzati dei corsi di formazione per tutte le
figure apicali del mondo della scuola, al fine di contrastare e
prevenire la violenza, l’esclusione sociale, il disagio e la dispersione
scolastica legata alle discriminazioni subite per il proprio
orientamento sessuale.
Da qui la levata di scudi contro
l’ideologia gender che destabilizzerebbe le menti di bambini e
adolescenti. Perché non solo tra moglie e marito, ma anche tra genitori e
figli non si deve mettere il dito: guai a mettere in discussione la
famiglia tradizionale e a istillare domande nella testa di bambini e
adolescenti che abbiano a che fare con l’identità (sessuale),
l’affettività o la sessualità.
Il genere come ideologia
“Se
qualcuno del gender ha fatto un’ideologia è stata la Chiesa cattolica”.
Non ha dubbi in proposito la Vassallo che, nel suo ultimo libro Il matrimonio omosessuale è contro natura (Falso!),
ci mette in guardia dall’errore grossolano di far coincidere la femmina
(quindi il sesso, categoria biologica) con la donna (il genere,
categoria socioculturale), o il maschio con l’uomo: negando, in questo
modo, identità e personalità a ogni donna e a ogni uomo.
“Nei
secoli, infatti, la Chiesa cattolica ha costruito l’idea che uomo e
donna siano complementari e si debbano accoppiare per riprodursi”.
Questo, in pratica, sarebbe il solo ordine naturale possibile. “Invece,
se oggi parliamo di decostruzione del genere, non lo facciamo per una
presa di posizione ideologica, ma partendo dalla costatazione che, di
fatto, non ci sono solo due sessi (ce lo dice la biologia, si pensi
all’intersessualità), ci sono più generi e non c’è un unico orientamento
sessuale: ovvero quello eterosessuale, che la Chiesa ha sempre
promosso, etichettando come contro natura quello omosessuale”.
Ma la natura non è omofoba. Anzi. Nel libro In crisi d’identità,
Gianvito Martino, direttore della divisione di Neuroscienze del San
Raffaele di Milano, spiega (e documenta) che è un gran paradosso
etichettare l’omosessualità, ma anche il sesso non finalizzato alla
riproduzione, come contro natura. Ci sono infatti organismi bisessuali,
multisessuali o transessuali, la cui dubbia identità di genere è
essenziale per la loro sopravvivenza. Additare quindi come contro natura
certi comportamenti significa ignorare la realtà delle cose, scegliendo
deliberatamente di essere contro la natura.
“Inoltre, –
aggiunge lo psichiatra e psicoanalista Vittorio Lingiardi, ordinario di
psicologia dinamica alla Sapienza di Roma – non solo ciò che è
considerato caratteristico della donna o dell’uomo cambia nel corso
della storia e nei diversi contesti culturali, ma anche il concetto di
famiglia ha conosciuto e sempre più spesso conosce configurazioni
diverse: famiglie nucleari, adottive, monoparentali, ricombinate,
omogenitoriali, allargate, ricomposte, ecc. Delegittimarle significa
danneggiare le vite reali di molti genitori e dei loro figli. Ci sono
molti modi, infatti, di essere genitori (e non tutti sono funzione del
genere). Non lo affermo io, ma le più importanti associazioni
scientifiche e professionali nel campo della salute mentale dopo più di
quarant’anni di osservazioni cliniche e ricerche scientifiche,
dall’American Academy of Pediatrics, alla British Psychological Society,
all’Associazione Italiana di Psicologia”.
“In sostanza –
conclude Lingiardi – adulti coscienziosi e capaci di fornire cure, che
siano uomini o donne, etero o omosessuali, possono essere ottimi
genitori. Ciò di cui i bambini hanno bisogno è sviluppare un
attaccamento verso genitori coinvolti, competenti, responsabili. Una
famiglia, infatti, non è soltanto il risultato di un accoppiamento
riproduttivo, ma è soprattutto il risultato di un desiderio, di un
progetto e di un legame affettivo e sociale”.
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https://www.internazionale.it/opinione/chiara-lalli/2015/03/31/teoria-gender-diritti
mercoledì 20 novembre 2019
#NoEutanasia, PV&F: «Messaggio onesto, veritiero e corretto. Andiamo a testa alta di fronte allo Iap»
Leggi il comunicato
21/11/2019
Tutta la verità sui dati Istat, il flop delle unioni gay
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facebook, sui dati Istat che rivelano il numero, esiguo, delle unioni
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21/11/2019
Sei bullo? Via dalla famiglia. Noi diciamo no!
Sei bullo? Via dalla famiglia. La legge contro il bullismo che arriverà
in Aula alla Camera lunedì prossimo riporta proprio questa novità tra
le righe del nuovo testo e prevede che il ...
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21/11/2019
Il Premio Ipazia alla paladina della lobby Lgbt Monica Cirinnà
Lo scorso martedì 19 novembre, nell'ambito del Festival dell'Eccellenza
al Femminile 2019, è stato assegnato il Premio Ipazia nazionale,
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21/11/2019
Le mani del gender anche sul Natale
Lasciateci almeno il Natale. Verrebbe da commentare così, quasi con una
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21/11/2019
FLASH - Aborto, studenti censurati perché pro life
«L'Unione degli studenti dell'Università di Cardiff intende censurare
studenti e gruppi pro vita approvando una mozione che chiede che
l'università sia pro choice». Ma perché i cosiddetti p...
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21/11/2019
FLASH - Gender a Lucca, "Non voglio essere una principessa Rosa"
I consiglieri comunali di Lucca, Marco Martinelli e Simona
Testaferrata, denunciano lo svolgimento di attività che veicolano
l'ideologia gender «presso la Ludoteca il Bucaneve di ...
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giovedì 14 novembre 2019
Legalizzazione prostituzione, Pro Vita & Famiglia: «Il corpo non si vende caro governatore Fontana»
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21/11/2019
Il libro di Borgonovo: «Vi racconto Bibbiano, frutto di ideologia e denaro»
Il cosiddetto «sistema Bibbiano c’è eccome ed è frutto di soldi e
ideologia». Sono le parole di Francesco Borgonovo , vicedirettore del
quotidiano La Verità e autore, insieme al collega An...
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20/11/2019
Unioni civili, Pro Vita & Famiglia: «Un fallimento. La sconfitta della “premiata" Cirinnà»
COMUNICATO STAMPA Dati Istat Unioni civili, Pro Vita & Famiglia:
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20/11/2019
Matrimonio sempre meno importante per gli italiani. L’allarme arriva dai dati Istat
Gli italiani e il matrimonio, base di partenza per la formazione di una
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Un altro caso come Charlie e Alfie. Salviamo il piccolo Maciej
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L’Aifa lancia l’allarme: ecco i gravi rischi dei metodi contraccettivi
Gli effetti collaterali dei metodi contraccettivi sono spesso
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internazionale.it
Tutti pazzi per il gender
Chiara Lalli
19-25 minuti
31 marzo 2015 18:00
“La
teoria del gender è un’ideologia a sfondo utopistico basata sull’idea,
già propria delle ideologie socio-comuniste e fallita miseramente, che
l’eguaglianza costituisca la via maestra verso la realizzazione della
felicità. Negare che l’umanità è divisa tra maschi e femmine è sembrato
un modo per garantire la più totale e assoluta eguaglianza – e quindi
possibilità di felicità – a tutti gli esseri umani. Nel caso della
teoria del gender, all’aspetto negativo costituito dalla negazione della
differenza sessuale, si accompagnava un aspetto positivo: la totale
libertà di scelta individuale, mito fondante della società moderna, che
può arrivare anche a cancellare quello che veniva considerato, fino a
poco tempo fa, come un dato di costrizione naturale ineludibile”. A
scriverlo è la storica Lucetta Scaraffia (”La teoria del ‘gender’ nega
che l’umanità sia divisa tra maschi e femmine”, L’Osservatore Romano, 10
febbraio 2011).
Chi è che vuole negare l’esistenza e la
differenza tra maschi e femmine? E quando sarebbe successo? Rispondere è
facile: nessuno e mai. Tuttavia da qualche tempo è emersa questa strana
e inesistente creatura, metà fantasia, metà film dell’orrore: è
l’“ideologia del gender”. Non è facile individuarne la data di nascita,
ma quello che è certo è che nelle ultime settimane la sua ombra
minacciosa è molto invadente.
È buffo vedere quanta paura faccia
il riflesso di quest’essere mostruoso (ma allucinatorio come Nessie),
nato in ambienti angustamente cattolici, conservatori e ossessionati
dalla perdita del controllo. Il controllo sulla morale, sul
comportamento, sull’educazione e sul rigore feroce con cui si elencano
le categorie del reale con la pretesa che siano immutabili e
incontestabili in base a un argomento d’autorità: “È così perché lo
diciamo noi”.
Questa perfida chimera che vorrebbe annientare le
differenze sessuali si nutre della continua e intenzionale confusione
tra il piano biologico (“per fare un figlio servono un uomo e una
donna”) e quello sociale e culturale (“per allevare un figlio o per
essere buoni genitori bisogna essere un uomo e una donna”). Come
vedremo, perfino il piano biologico è meno rigido e, no, non significa
che “non ci sono differenze biologiche tra uomo e donna” – nessuno lo ha
mai detto.
Ma le Cassandre della “ideologia del gender”
combattono contro un nemico che hanno immaginato, o che hanno costruito,
stravolgendo il reale, per renderlo irriconoscibile e poterlo così
additare come un mostro temibile (si chiama straw man ed è una fallacia
molto comune: si prende un docile cane di piccola taglia e lo si
trasforma in un leone famelico; poi si litiga con il padrone del cane e
lo si accusa di irresponsabilità: “Girare con una bestia feroce in
luoghi affollati e con tanti bambini!”). Perché essere tanto spaventati
da esseri che non esistono e da ombre sulle pareti? Perché non girarsi
per rendersi conto, finalmente, che va tutto bene?
Se state poco
sui social network e scegliete bene le vostre letture forse non ne
avete mai sentito parlare. Ma è sempre più improbabile che non ne
sappiate nulla visto che lo scorso 21 marzo Jorge Maria Bergoglio ha
detto che la “teoria del gender” fa confusione, è uno sbaglio della
mente umana e minaccia la famiglia. “Come si può fare con queste
colonizzazioni ideologiche?”, ha domandato.
Un paio di giorni
dopo Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha aggiunto che “l’ideologia
del gender” si “nasconde dietro a valori veri come parità, equità,
autonomia, lotta al bullismo e alla violenza, promozione, non
discriminazione… ma in realtà pone la scure alla radice stessa
dell’umano per edificare un transumano in cui l’uomo appare come un
nomade privo di meta e a corto di identità”. È addirittura una
“manipolazione da laboratorio”. E poi si è rivolto accorato ai genitori:
“Volete voi questo per i vostri figli?”. E qualche giorno più tardi ci è
tornato il cardinale Carlo Caffarra, ricorrendo a una metafora
oftalmica: “Esiste oggi una cataratta che può impedire all’occhio che
vuole vedere la realtà dell’amore di vederlo in realtà. È la cataratta
dell’ideologia del ‘gender’ che vi impedisce di vedere lo splendore
della differenza sessuale: la preziosità e lo splendore della vostra
femminilità e della vostra mascolinità”.
Minacce individuali e
familiari, errori mentali, colonizzazioni ideologiche, furti di identità
e di umanità, manipolazioni, cataratte: mai tanti e tali disastri erano
stati attribuiti a qualcosa che non esiste.
“Maschio e femmina li creò” (Genesi)
Chi
se la prende con la presunta “ideologia del gender”, come dicevo,
confonde intenzionalmente i termini e i concetti per deriderli,
banalizza le differenze per farne una caricatura, si ostina a non capire
le questioni e invece di domandare spiegazioni si nasconde dietro una
presuntuosa e rivendicativa ignoranza.
Ci sono molti esempi e vengono dalla cronaca (tra gli ultimi il gioco “porno” all’asilo di Trieste) o da documenti più o meno ufficiali (sempre di area ultraconservatrice e fortemente miope).
Eccone
un altro esempio, forse più grave ancora perché Roberto Marchesini è
psicologo e psicoterapeuta (“Il ragazzo curato a ormoni per diventare
ragazza”, La Bussola Quotidiana, 9 marzo 2015): “Non importa se ci sono
due cromosomi Y, o un cromosoma Y e due X: se c’è il cromosoma Y siamo
maschi, punto. E non è questione di organi genitali: siamo maschi o
femmine in tutto il nostro corpo, perché ogni cellula del nostro corpo
ha quel benedetto cromosoma. Possiamo mutilarci, possiamo aggiungerci
appendici siliconiche in ogni parte del corpo, depilarci, limarci la
mascella e sottoporci a qualsiasi altra tortura, ma resteremo maschi.
Senza genitali, magari, con protesi sul petto, ma sempre maschi. Quindi
non è possibile che questo ragazzo diventi una ragazza. Qualcuno ha
mentito ai genitori e a lui. […] È l’ideologia di genere che ci fa
credere una cosa assurda, cioè che sia possibile ‘cambiare sesso’. Si
chiama ideologia proprio per questo”. In questo caso la confusione è
aumentata da possibili interventi (ormonali e chirurgici). Su questo
torneremo.
Sempre a marzo, Paola Binetti era molto allarmata:
“Presentata all’Onu richiesta di inserire movimento femminista e alle
associazioni Lgbtq, nel quadro teorico e pratico del ‘sistema gender’”
(5 marzo 2015, Twitter).
C’è anche il filosofo Diego Fusaro che,
in occasione della polemica scatenata da Dolce & Gabbana, aggiunge
un po’ di Asimov che ci sta sempre bene. Fusaro: “Dolce e Gabbana? Li
attaccano perché ora c’è la prova. Gender, siamo all’ingegneria
sociale”, 16 marzo 2015. Alla domanda, “Dopo tutte le polemiche gli
asili nido di Trieste hanno fatto bene a fare retromarcia sui ‘giochi
gender?’”, Fusaro risponde: “Ormai per manipolare bisogna partire
anzitutto dai bambini. Siamo al cospetto di una vera e propria
ingegneria sociale, è evidente, una mutazione antropologica direbbe
Pasolini, si cerca di inculcare fin dalla giovane età che non esistono
uomini e donne ma ognuno si sceglie il sesso che vuole. Tutto ciò per me
è una sciocchezza, i sessi sono due, poi ci sono tutti gli orientamenti
sessuali possibili, ma un omosessuale resta sempre un uomo così come
una lesbica rimane sempre una donna”.
Ho già detto che nessuno
vuole eliminare la differenza tra uomini e donne? È davvero un peccato
che Fusaro abbia rinunciato al ruolo principale della filosofia: cercare
di chiarire i termini e i concetti. Offrirsi cioè come uno strumento
per capire meglio e non per mescolare le parole come si farebbe in un
caleidoscopio, perché il risultato non è più colorato ma più annebbiato.
Spesso completamente fuori fuoco.
Barcellona, Spagna, 16 luglio 2011. (Simona Pampallona)
“Non esistono uomini e donne”
Per
capire come l’“ideologia del gender” rimescoli parole a caso –
aspirando a sembrare qualcosa di sensato – dobbiamo fare una premessa.Le
definizioni sono arbitrarie, ci servono per semplificarci la vita.
Dovremmo sempre ricordarci però che la realtà è un insieme in cui i
confini netti non esistono – ma esistono contiguità, sovrapposizioni,
intrecci sui quali tracciamo linee e diamo definizioni – e che, più
conosciamo più possiamo (o dobbiamo) specificare, come quando ci
avviciniamo a qualcosa (sedia, tavolo, gioco: provate a dare una
definizione necessaria e sufficiente e vi accorgerete che è meno facile
di quanto possiate immaginare).
Ciò non significa che non
esistono differenze o che sia tutto nella nostra testa (nella nostra
percezione), almeno nella prospettiva realista. Significa che quello che
osserviamo è più fluido di un interruttore che spegne e accende una
luce.
Lo si dimentica a volte. Lo si rimuove sempre quando si parla di (ideologia del) gender.
La
biologia, per cominciare, fa distinzioni meno nette rispetto ai termini
maschio/femmina. In biologia ci sono i due estremi (M e F), ma ci sono
anche molte possibilità intermedie. Esistono molti stadi di
intersessualità, come l’ermafroditismo, la sindrome di Morris e quella
di Swyer, e ci sono casi in cui è controversa la definizione di
intersessualità, come la sindrome di Turner o di Klinefelter (si veda il film XXY).
Anche alcune di queste condizioni sono definite patologiche (disordini
di differenziazione sessuale o di sviluppo sessuale), ma pure definire
una “patologia” non è così agevole come potrebbe sembrare.
Questo
soltanto se parliamo di sesso, ovvero dell’appartenenza a un genere
sessuale indicato come XX e XY (sono i cromosomi sessuali a distinguere,
a un certo punto dello sviluppo embrionale, gli individui che saranno
maschi da quelli che saranno femmine).
Sesso, identità di genere e ruoli, orientamenti e preferenze sessuali
Se
però cominciamo a parlare di identità di genere, di ruoli e di
orientamenti sessuali le cose si complicano ulteriormente. Si può essere
di sesso M e avere una identità sessuale maschile oppure femminile
(oppure ambigua, oscillante, cangiante). Nulla di tutto questo è
intrinsecamente patologico o sbagliato e soprattutto ciò che è femminile
e maschile è profondamente determinato culturalmente, tant’è che i
ruoli maschili e femminili cambiano nel tempo e nello spazio.
Il
rosa non è intrinsecamente un colore da femmine (F), almeno lo è in
modo diverso rispetto all’avere o no l’utero, anche se si può essere
donne – in un senso meno claustrofobico della riduzione del ruolo
femminile a un patrimonio cromosomico o al possesso di alcuni organi
sessuali – senza averlo: perché sei nata senza, perché te l’hanno tolto,
perché eri nata come M ma la tua identità di genere è femminile.
I
ruoli sono il risultato di stratificazioni lunghe e tortuose e non
rappresentano qualcosa di immobile e determinato per sempre, né tanto
meno quello che è giusto e buono (trasformare tutto questo in “mica
pretenderete che due uomini si riproducano?” è un problema di chi
equivoca così malamente e non del gender).
Poi ci sono le
preferenze o gli orientamenti sessuali: eterosessuale, omosessuale,
bisessuale, queer, eccetera. Ci sono anche gli asessuali (in Giappone le
percentuali di individui non interessati alle relazioni affettive e
sessuali sono altissime) e ovviamente ci sono i casti, non per mancanza
di interesse sessuale ma per un fioretto come Sophia Loren in Ieri, oggi
e domani, oppure per un voto di castità meno temporaneo.
Gender studies
“Ideologia
del gender” (cioè del genere sessuale) non vuol dire nulla. È come dire
ideologia del sapone o del cielo. Tra l’altro è ancora più insensato se
si pensa che è attribuita a chi vuole alleggerire la pressione del
dover essere – perciò in caso dovrebbe essere “anarchia del gender”, o
“relativismo del gender” visto che per alcuni è un insulto essere
relativista (anche questo rasenta l’insensatezza, soprattutto se ci
ricordiamo che l’alternativa è l’imposizione e il dogmatismo).La
sfumatura di imposizione che si vuole attribuire, dal sapore
complottista, suona davvero strana perché imporre un giogo meno stretto è
un po’ bizzarro.
Sono quelli che strepitano contro la temibile
“ideologia del gender” che vogliono imporre decaloghi e regole rigide e
stabilite da loro – mentre i gender studies si muovono in un dominio di
libertà, in una fluidità dei modelli (individuali e familiari); sono per
la loro desacralizzazione e per i diritti per tutti. Basta cercare su
Google. Basterebbe anche solo leggere il recente documento approvato dall’Associazione italiana di psicologia
che ha l’intento di “rasserenare il dibattito nazionale sui temi della
diffusione degli studi di genere e orientamento sessuale nelle scuole
italiane” e di “chiarire l’inconsistenza scientifica del concetto di
‘ideologia del gender’”.
Non ha molto senso nemmeno il termine
“omosessualismo”, se non in un senso di scherno e di intenzionale
disprezzo. Peggio di “frocio”, perché almeno frocio è limpidamente
aggressivo (poi ovviamente l’offesa dipende dal contesto, dalle
intenzioni dei mittenti e dallo spirito dei destinatari) mentre
“omosessualista” ammicca a una correttezza formale e superficiale che
nasconde la convinzione che tu faccia schifo e sia inferiore in quanto
non eterosessuale – è l’“in-quanto” a essere sbagliato, sia in senso
dispregiativo sia in senso adulatorio. Non c’è nessun merito a essere
donna o lesbica. E non c’è nemmeno nell’essere omosessuale, casto o
indeciso. Ma, è chiaro, non c’è nemmeno un demerito o un peccato.
C’è
un altro termine che suscita reazioni scomposte: cisgender. È un
termine usato per indicare la coincidenza tra il genere sessuale (M o F)
e l’identità sessuale (maschile e femminile). Gli ottusi abituati a
distinguere solo M e F come XX e XY (e a pensare come giusto solo
l’orientamento eterosessuale, immaginato fisso e immobile come
Aristotele pensava la sua cosmologia) ne sono spiazzati e reagiscono
come si reagisce alle scuole medie davanti all’ignoto: ridono
imbarazzati, giudicano quello che non sanno e non vogliono sapere come
un capriccio di menti disturbate.
Rivendicano identità che
nessuno vuole mettere in discussione – “io sono femmina!” – un po’ come
succede quando si parla di matrimoni e di famiglie: “Volete distruggere
la famiglia!”.Stanno cercando di fare il contrario di quanto è avvenuto
con il termine queer: originariamente un insulto, è stato trasformato
nel tempo fino a diventare una parola dal significato ampio ma
essenzialmente non dispregiativo (ci sono i dipartimenti universitari
queer e queer studies nelle università più prestigiose – si veda Yale,
per esempio).
Ci sono poi ovviamente le patologie sessuali, le
perversioni o le ossessioni, che sono indipendenti dall’essere M, F,
eterosessuale o indeciso.
Bourges, Francia, 2012. (Simona Pampallona)
“On ne naît pas femme, on le devient”
Per fare un esempio cattolico ufficiale della miopia che caratterizza l’“ideologia del gender”, basta leggere il discorso del santo padre Benedetto XVI
del 21 dicembre 2012, perché nonostante alcuni ci tengano a
sottolineare che la loro avversione non c’entra con la religione, si
parte sempre dalla dicotomia M e F (e spesso lì si rimane, come in
un’inutile corsa sul posto):
“Egli [il gran rabbino di Francia,
Gilles Bernheim] cita l’affermazione, diventata famosa, di Simone de
Beauvoir: ‘Donna non si nasce, lo si diventa’ (On ne naît pas femme, on
le devient). In queste parole è dato il fondamento di ciò che oggi,
sotto il lemma ‘gender’, viene presentato come nuova filosofia della
sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è più un dato
originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire
personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide
autonomamente, mentre finora era la società a decidervi. La profonda
erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa
soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura
precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano.
Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto
precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto
biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di
essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è
essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa
dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più valido ciò che
si legge nel racconto della creazione: ‘Maschio e femmina Egli li creò’
(Gen 1,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e
femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi
stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della
creazione, come natura della persona umana non esistono più”.
Se
non si riesce a sottrarci a questa visione semplicista e ingessata
quando si parla di sesso (biologico), è inevitabile che quando è
necessario introdurre la differenza tra gender, identità e ruolo di
genere e preferenze sessuali l’effetto è quasi comico. È ovvio che de
Beauvoir intendesse qualcosa di molto diverso da quanto Bernheim lascia
intendere, proprio come chi oggi è tanto spaventato dal gender.
“Il gender è più pericoloso dell’Isis!”
Il comico muta in grottesco quando si azzardano metafore al rialzo:
“L’ideologia del #gender è più pericolosa dell’Isis”, avverte durante la
messa don Angelo Perego, parroco di Arosio (Como). E non è certo il
primo né il più originle. Tony Anatrella, prete e psicoanalista, nella
prefazione del volume Gender, la controverse denuncia la cultura di
genere come un’ideologia totalitaria, più oppressiva e perniciosa
dell’ideologia marxista.
L’elenco è molto lungo e poco
fantasioso. Un capriccioso puntare i piedi contro la frammentazione di
una realtà che non è mai stata monolitica (ma solo presentata come tale)
e, inevitabilmente, contro la (ri)attribuzione dei diritti.
Sarebbe
già abbastanza ingiustificabile usare fantasmi e spauracchi per
limitare i diritti, soprattutto perché garantire diritti a tutti non li
toglie a nessuno. Ma tutto questo rischia di diventare inutilmente
crudele quando è diretto ai bambini e agli adolescenti – scenario non
inverosimile se si pensa che uno dei luoghi di scontro è proprio la
scuola.
Non solo: ritrovarsi con dei genitori che ti mandano a
farti aggiustare se sei frocio o ridicolizzano la tua identità di genere
(che non è come la vorrebbero loro o come dice il prete) “perché sei
piccolo” è davvero penoso. Si sopravvive (non sempre), ma c’è un carico
pesantissimo di dolore evitabile.“Chi difende i diritti del bambino
diverso?”, domandava Paul B. Preciado in un articolo di due anni fa.
“I diritti del bambino che vuole vestirsi di rosa. I diritti della
bambina che sogna di sposarsi con la sua migliore amica. I diritti del
bambino e della bambina queer, omosessuale, lesbica, transessuale o
transgender. Chi difende i diritti del bambino di cambiare genere se lo
desidera? Il diritto alla libera autodeterminazione del genere e della
sessualità. Chi difende i diritti del bambino a crescere in mondo senza
violenza di genere e senza violenza sessuale?”.
Dovremmo
rispondere a tutte queste domande (dovrebbero provare a rispondere gli
agitatori della “ideologia”), ricordando che “mio padre e mia madre
durante la mia infanzia non proteggevano i miei diritti. Proteggevano le
norme sessuali e di genere che loro avevano assorbito dolorosamente,
attraverso un sistema educativo e sociale che puniva ogni forma di
dissidenza usando la minaccia, l’intimidazione, la punizione, la morte”.
https://www.internazionale.it/opinione/chiara-lalli/2015/03/31/teoria-gender-diritti
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